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Psicologia

Inverno e solitudine

Non so se avete mai fatto caso, ma è l’inverno quello che regala i colori più belli: nitidi, intensi, saturi bellissimi nell’assenza della bruma primaverile, o della foschia data da uno spossato calore estivo.

E’ il freddo ciò che rende la luce rara e preziosa di questi giorni, così nitida e tagliente, capace di regalarci dettagli e sfumature quasi al di là del reale, la bellezza di quel che sta oltre desideri e aspettative…

In questo mi sembra che la luce del giorno invernale assomigli alla solitudine, che come il freddo però ci fa tanta paura. Proprio in questi giorni di festa, in cui si celebra il principio dell’accrescimento della luce, sentiamo maggiormente la mancanza e la perdita e ci confrontiamo col vuoto. Di ciò che manca, di ciò che non è mai stato, di quello che abbiamo perso o mai trovato, del fallimento delle nostre aspettative, del crollo delle speranze, dell’evidente inesistenza di un’amicizia, o di un amore…mentre crediamo, col cuore sofferente attanagliato da invidia e tristezza che in altre famiglie e in altre vite non accada (non è vero, succede a tutti…)

Ma che possiamo fare allora della solitudine, se ci troviamo forzati e controvoglia in questo stato?

Potremmo cercare di non starci e di non provarla e così può essere che tentiamo di riempire il vuoto di una perdita affettiva ripetendo esperienze mediocri o insignificanti, pur di ricostruirci una pallida imitazione dell’autostima e della fiducia perdute, spesso però ripercorrendo in automatico un pattern relazionale ricorsivo nella nostra vita e determinato da qualche analoga esperienza disfunzionale avuta in precedenza o addirittura da bambini…A questo punto però, reiterando l’approccio alla negazione della solitudine e al tentativo del suo evitamento, può innescarsi un altro meccanismo.

Infatti, come accade per tutti i comportamenti utilizzati impropriamente per gestire uno stato di sofferenza, pare che anche l’eccitazione dei nuovi incontri possa determinare l’abitudine a quel merviglioso stato dopaminergico che si determina soltanto durante le prime fasi di una relazione, costituendo così una specie di droga che ci porta a non approfondire mai un rapporto oltre la chimica, per mantenere lo stato dopaminergico passando da una persona all’altra in tempi brevi (massimo, ma proprio al massimo, 2 anni) e rinunciando alla bellezza di un rapporto intimo e profondo…così come può accadere in modo simile con la ricerca di esperienze pericolose, il consumo di alcol o altre sostanze o lo shopping compulsivo o il cibo, che utilizziamo per dimenticare ma che diventano in seguito un problema di dipendenza a sé stante…

La solitudine, se ci permettiamo di sperimentarla, è quello stato spazioso, silenzioso e aperto in cui non siamo costretti a confrontarci con le necessità dell’altro da me, e che invece se riusciamo a starci dentro ci può regalare chiarezza riguardo le nostre fragilità e vulnerabilità, le nostre propensioni e i nostri bisogni, come di fronte ai dettagli di un paesaggio luminoso e colorato, e ad accettarli con apertura, gentilezza e accoglienza, priva di quella critica giudicante che spesso ci porta a non rilevarli.

Certo, bisogna riconoscere che dopo una perdita o una rottura dolorosa, nulla sarà mai più come prima, ma potrebbe essere diverso, anzi più adatto al nuovo me e quindi anche meglio…perché permettendomi con pazienza di incontrare e farmi guidare con curiosità e fiducia da questa mia parte sana e accogliente, farò esperienza, finalmente! di qualcosa che in me è in grado di prendersi cura dei miei bisogni emotivi profondi e sacrosanti, senza bisogno dei soliti comportamenti anestetici che creano dipendenza…e quindi poi, rivolgendomi nuovamente all’esterno, incontrerò qualcuno o qualcosa di più simile a me, adatto ad una nuova vita più piena e ricca…alla fine dell’inverno troveremo la primavera, con il suo vivo germogliare e una moltitudine di tiepidi profumi!

Approfondimenti dal web

Cuor d’Abete profumato

Escursione a passi lenti- dalle 10.00 alle 13.30/17.30 data da definire

Iscriviti all’escursione

PANORAMICA DELLA GIORNATA
Un facile percorso ci condurrà in una magnifica abetaia dove la nostra immersione forestale nel silenzio sarà profumata di resina e dove potremo accomodarci su un tappeto di aghi di abete …Saranno esercizi di ascolto e di apertura nell’ambiente per coltivare la connessione e l’apertura dentro di noi. La mattinata si concluderà con una condivisione finale che ci permetterà di rallentare in un’atmosfera magica e raccolta.
L’esperienza potrà concludersi col pranzo nel piccolissimo rifugio La casa del maestro (su prenotazione da parte di chi lo desidera). #rifugiolacasadelmaestro
Per le persone interessate invece l’esperienza proseguirà anche nel pomeriggio dalle 14.30 alle 17.30, integrando nel percorso di ritorno verso Passo Lucese alcune tappe nel bosco con meditazioni, visualizzazioni e condivisioni riguardanti l’esperienza del mattino.
Sarà quindi un’esperienza speciale che non richiede una grande resistenza fisica, mentre ci concederemo di riconnetterci alla presenza dei grandi alberi, alternando passi lenti a pause meditative, condivisioni in gruppo ed esercizi immaginativi in cui esploreremo la connessione con la natura di cui siamo parte.
L’esperienza si concluderà col pranzo nel piccolissimo rifugio La casa del maestro (su prenotazione da parte di chi lo desidera). #rifugiolacasadelmaestro prenotando al 335 6446311

Se ci saranno persone interessate al momento della prenotazione, l’esperienza potrà proseguire anche nel pomeriggio dalle 14.30 alle 18.30.

L’immersione forestale potrà continuare nel pomeriggio dopo la pausa pranzo con meditazioni e condivisioni in abetaia esplorando il tema dell’apertura e della connessione e quindi il tema delle relazioni, prima di tutto la relazione con noi stessi, immersi nella natura lungo il percorso di ritorno, il rientro alle auto previsto per le 17.30 avverrà seguendo lo stesso percorso.
Nel complesso sarà un’esperienza speciale che non richiede una grande resistenza fisica, alterneremo passi lenti a pause meditative, condivisioni in gruppo ed esercizi immaginativi per favorire la connessione con la natura di cui siamo parte.

Un sentiero nell’abetaia

INFORMAZIONI TECNICHE
L’escursione di livello E secondo la classificazione CAI, non presenta particolari difficoltà tecniche per persone allenate a questo tipo di attività.
• Punto di ritrovo: Parcheggio nei pressi del ristorante Lucese la sosta non è a pagamento
• Punto mappa: https://goo.gl/maps/8accwBum1onPoSz8A
• Difficolta’: E (Escursionistico) – Itinerario su sentieri ben tracciati, mulattiera, sterrata e brevi tratti di asfalto, adatto a persone mediamente allenate in buona forma fisica.
• Dislivello complessivo in salita: circa 330 m
• Totale percorrenza: km.6
• Tempi totali di percorrenza: ore 3 circa di cammino oltre le soste
• Orario di ritrovo: ore 9:30
• Termine attività ore 14.30
• Prenotazione obbligatoria entro giovedì 2 giugno 2022
L’escursione si svolgerà con un minimo di 5 partecipanti e un massimo di 15

Quota di partecipazione: 20€ (30€ per la giornata intera) da pagare in anticipo compilando la scheda di adesione. Per iscrizioni multiple la quota a persona è di 18€ e 25€
La quota comprende: organizzazione e coordinamento, tutte le conduzioni e la Terapia Forestale, servizio Guida ambientale escursionistica ed assicurazione RCT (non comprende l’assicurazione infortuni per gli accompagnati)
Trattandosi di un intervento per il benessere psicologico in ambiente naturale, il costo potrà essere detratto come spesa sanitaria.
Ho previsto inoltre riduzioni per coppie o situazioni di comprovato bisogno.
In caso di disdetta entro il 30 giugno la cifra versata verrà interamente restituita, diversamente verrà offerto un buono per un’altra escursione con validità un anno.

ABBIGLIAMENTO e ATTREZZATURA:
Sono obbligatori gli scarponcini da trekking (meglio se alti alla caviglia), un capo anti vento e anti pioggia, abbigliamento comodo e a strati, cappello, snack/frutta, pranzo al sacco per chi non vuole mangiare al rifugio, riserva d’acqua di almeno 1 litro. Al rifugio troveremo bevande calde e fresche, i bagni e acqua per le borracce.
Un cuscinetto o seggiolino pieghevole per sedersi durante le pause meditative e che possa essere trasportato insieme al resto in uno zainetto da giornata (20/30 lt)
Bastoncini da trekking facoltativi.
La guida si riserva di cancellare o variare il programma della giornata a seconda delle condizioni meteo o per garantire il benessere di tutti i partecipanti a suo insindacabile giudizio. In caso di annullamento le cifre versate per l’iscrizione verranno interamente restituite.

CONDUZIONE DELLA GIORNATA
Patrizia Garberi PhD, è Psicologa Psicoterapeuta, OPT 7693 insegnante di meditazione e istruttrice senior di protocolli basati sulla Mindfulness, artista arteterapeuta, esperta di Terapia Forestale e Guida Ambientale Escursionistica, AIGAE TO1137 professione svolta ai sensi della legge 4/2013
https://www.artimagery.it/contatti/#.YkW2ledBw2w

PRENOTAZIONE https://forms.gle/k6HQkAPWKU6pyt8r9

Appuntamento ore 9.30 a Passo Lucese (LU)

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    perdita e tristezza

    Perdita e lutto, la tristezza

    Che sia la fine di una relazione o la morte di una persona cara, la perdita della fiducia dovuta ad un tradimento, l’esperienza del rifiuto, la perdita del nostro lavoro, un intervento chirurgico necessario per affrontare un qualche genere di malattia, il dover lasciare andare un certo modo di pensare o una credenza che ha ormai cessato di essere utile, abbandonare sogni, speranze e progetti…l’affrontare la perdita non è mai facile.

    Ce ne accorgiamo bene in questo periodo di perdita collettiva, in cui invece che guardare con soddisfazione ai frutti della stagione che si sta concludendo, siamo costretti ad accettare ( a torto o a ragione non è questo il luogo della discussione) perdita, sacrifici, fallimento…

    Perdita significa non solo lasciare andare la persona o l’oggetto desiderato a cui dobbiamo rinunciare ma, e soprattutto, quell’apetto identitario e quella parte di noi che si era formato in risposta alla sua esistenza, e al quale siamo abituati. Banalmente, per chi va in pensione, cesserà l’identificazione con il proprio lavoro, per chi perde una persona cesserà anche lo stato di moglie, o di figlio, nel quale magari ci siamo identificati da una vita o quasi.

    Questa a mio parere costituisce la parte di lutto più difficile da affrontare perché ci mette a confronto con la nostra identità e la perdita di senso associata inizialmente ad una sua trasformazione.

    Solitamente quello che si fa, e che ci consigliano di fare, è “non pensarci” per sfuggire a tutto questo dolore e senso di vuoto, oppure anche peggio di “pensare in positivo”, senza concederci di attraversare questo momento con la dignità di chi non vuole nascondere a sé stesso la propria tristezza. Come per tutte le emozioni negative spesso ci sforziamo di non sperimentarle, come se fossero stati molto pericolosi da cui sfuggire…

    In realtà, quando ci permettiamo di restare a contatto con la tristezza e con il vuoto della perdita, impariamo a familiarizzare con l’alternarsi delle esperienze, fatto in sè del tutto prevedibile e naturale…e che accadrà ancora. La credenza che la vita debba essere un percorso lineare in ascesa verrà così piano piano sostituita da una sana accettazione della realtà, una realtà in cui possiamo soprattutto imparare a vivere in tutte le stagioni.

    In questo ci può aiutare molto il contatto con la natura, dove il lasciare andare (che costituisce per noi l’aspetto più doloroso della perdita) fa parte del ciclo naturale dell’esistenza in cui ogni cosa viene integrata nel tutto, esistenza vissuta perciò nelle sue interrelazioni in modo circolare e interdipendente e non lineare.

    Ma perchè questa esperienza circolare da negatività ricorsiva possa diventare piuttosto una spirale ascendente sta a noi, dopo la permanenza nel vuoto della perdita, assaporare quella spaziosità che permette crescita, maturità e lo svilupparsi di nuove esperienze. E questo ci aiuterà a costruire nuove parti di noi, e una nuova identità più adatta alla nuova situazione che stiamo sperimentando…per questo occore coltivare flessibilità, ci può essere molto d’aiuto.

    Certo questi discorsi dal sapore un po’ troppo ottimista sono difficili da pensare quando il dolore ci morde nel profondo. E’ allora che ci viene in aiuto la consapevolezza (mindfulness) con cui siamo in grado di distinguere tra noi stessi e il dolore, con accettazione e decentramento e…tanta pazienza!

    Del resto il dolore, quando ci permettiamo di sperimentarlo e di accoglierlo, è un potente motivatore al cambiamento, forse il più forte. Ed è quando cerchiamo di curare il nostro malessere, e facciamo qualcosa per ritrovare benessere e gioia profonda che troviamo nuove strade, impariamo cose nuove su di noi e sul mondo e cresciamo.

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      La certezza del sole

      Ci sono momenti in cui l’oscurità ci fa perdere momentaneamente di vista la luce e il senso di positività e splendore. In questi momenti il pensiero del sole può aiutarci. Possiamo visualizzare che i suoi raggi caldi e luminosi illuminano e riscaldano il nostro corpo e anche i nostri pensieri, ricordando che nonostante le apparenze il sole sta splendendo, proprio in questo istante. Forse non siamo in grado di vederlo in questo preciso momento, ma se le nuvole bloccano la nostra vista, stanno solo oscurando temporaneamente la luce del sole, ed è solo questione di tempo prima che splenda di nuovo su di noi.

      Quando ricordiamo che il sole splende ancora, ci colleghiamo alla consapevolezza che le cose sono sempre in movimento nell’universo, e anche se la vita sembra ferma, a volte tutto ciò che dobbiamo fare è avere fiducia e aspettare il momento in cui tutto scivolerà perfettamente al suo posto. In questo modo con pazienza possiamo continuare a seguire la nostra strada anche se non riusciamo ancora a vedere i risultati. Se non reagiamo impulsivamente alle contrarietà ma seguiamo il flusso naturale dell’alternanza tra notte e giorno, saremo pronti quando si mostrerà un’opportunità e tutti gli altri elementi saranno perfettamente al loro posto.

      Il sole simbolicamente ci ricorda che anche in noi esiste una luce di verità splendente che non si estingue mai. La nostra luce risplende dentro di noi in ogni momento, qualunque cosa accada intorno a noi. Certo, il sole ci dà quotidianamente una prova luminosa della sua esistenza, mentre a volte la nostra fede nella nostra stessa luce interiore è più difficile da mantenere. Tuttavia, se siamo onesti e benevoli con noi stessi, possiamo trovare momenti in cui si è mostrata anche in passato e possiamo quindi essere fiduciosi che si mostrerà nuovamente… Come la stella del sole, anche la nostra luce interna è parte di quell’energia che ci collega ai movimenti dell’universo e ai cicli della vita ed è quindi presente in ogni istante, che ne percepiamo il bagliore o meno in questo momento…

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      Il senso del vuoto

      Nel periodo particolare che stiamo vivendo, ci appare chiaro come siamo costretti a confrontarci con il disagio e con l’assenza…anche se fortunatamente abbiamo qualche risorsa da mettere in gioco contro la pandemia. Le generazioni nate dopo la fine della seconda guerra mondiale si stanno confrontando per la prima volta con la scomodità e la ristrettezza, con la mancanza di libertà e con la necessità di posporre, rivalutare o addirittura cancellare i propri obiettivi. In aggiunta, oltre a cure e vaccini che speriamo siano tutti efficaci, trattandosi di un’infezione altamente contagiosa se vogliamo preservare i più deboli e vulnerabili dobbiamo usare il distanziamento, che ci priva però di un antidoto alla paura molto potente e specifico della nostra specie così sociale, ovvero della rassicurazione data dalla vicinanza, anche fisica e corporea.

      Le pandemie in realtà avrebbero una valenza evolutivamente molto vantaggiosa, attaccando nelle specie contagiate gli individui più deboli, senza danneggiare gli individui portatori delle varianti individuali più adatte alla sopravvivenza, che verranno trasmesse alle generazioni future. Ma da molti anni, secoli e millenni, la nostra specie è in grado di adattarsi all’ambiente, anzi a tutti gli ambienti, senza necessariamente sacrificare i più deboli, anziani, malati cronici e disabili e piuttosto utilizzando le proprie peculiari capacità di comunicazione, pianificazione e inibizione per sopravvivere in ogni circostanza, condizione e habitat. E questo ci riporta alle cosiddette regole da seguire in questi mesi, vissute come imposizioni e ristrettezze da molti di noi, mentre in realtà rappresentano i tentativi di strategie di sopravvivenza per (tutta) la specie, messe a punto con evidenti difficoltà e attraverso prove ed errori.

      Restrizioni che ci riportano al tema iniziale del disagio e dell’assenza. Sono almeno 100 anni che, nel nostro comodo mondo “occidentale” la maggior parte di noi ha a disposizione case riscaldate, acqua fredda e calda e la possibilità di fare 3 pasti regolari tutti i giorni, sfruttando l’ingegno delle generazioni precedenti che ci hanno portato a questo punto…quasi nessuno di noi pensa ai secoli di ricerca e applicazione che sono serviti per poter accendere la luce in un millisecondo, schiacciando un interruttore o addirittura utilizzando un comando vocale. Semplicemente tra la nostra volontà e la sua realizzazione passa un attimo, e questo ci ha abituati, come specie prima ancora che come individui, alla rapida e completa soddisfazione del desiderio.

      Naturalmente nella savana, dove abbiamo completato la nostra evoluzione circa 30.000 anni fa, per sopravvivere ci occorreva una forte spinta dopaminergica, un possente desidero che ci sostenesse durante i lenti e pericolosi passaggi necessari per procurarci cibo, riparo e partner riproduttivi…e in molti casi in assenza di un circuito di feedback per la sazietà, dato che la sopravvivenza nostra e della prole era un fatto così raro e incerto, che rendeva più adattivo l’eccesso di desiderio che la sua mancanza. Meglio quindi cibarsi di grassi e zuccheri il più possibile o ingravidare il maggior numero di donne possibili, quando erano disponibili…non potevamo certo correre il rischio di un calo del desiderio proprio nel momento favorevole!

      Ma che fare invece ai giorni nostri, quando la disponibilità di queste risorse è pressoché inesauribile? Molti di noi quando si lasciano trasportare dall’impulso sono chiaramente proiettati verso l’accumulo della quantità, di beni, cibo e partner sessuali, creando dei flussi di dipendenza in cui mantenere attivo il circuito dopaminergico (senza contare poi alcune sostanze che generano di per sé dipendenza e talvolta in tempi piuttosto brevi, e che si inseriscono pericolosamente in questo gioco)

      Con una certa facilità e spinti dal nostro inesauribile desiderio, possiamo quindi riempirci casa e armadi di oggetti inutili, mentre gli scaffali del supermercato traboccano di grassi, zuccheri e cibi salati per i quali nel nostro organismo non esistono meccanismi di sazietà e che possiamo acquistare a tutte le ore facilmente…Persino i partner sessuali sono accessibilissimi attraverso mille app dedicate, dove non serve sforzo o neanche grande tattica di seduzione per trovare l’eccitazione di un appuntamento nel giro di pochi click, coltivando la certezza di essere irresistibili e speciali perché possiamo scegliere sul nostro cellulare, tra i tanti profili, con chi passare il capodanno o fare serata…una certezza effimera, che perciò va rinnovata creando così la dipendenza.

      In pratica, per mantenere vivo l’interesse (il desiderio è piacevole!) abbiamo appreso a sostituire la quantità alla qualità, e con questa manteniamo l’illusione del valore personale, cerchiamo di colmare dei vuoti sempre più profondi accumulando soldi e beni, successo e notorietà, ci riempiamo di cibi ed esperienze inutili e siamo capaci di passare anche un’intera vita senza avere mai avuto un rapporto davvero intimo e profondo con chicchessia ma soltanto una collezione di tante amicizie superficiali, arrivando talvolta a generare un disturbo come l’alcolismo, il sesso o lo shopping compulsivo, i disturbi alimentari, il disturbo d’accumulo o il gioco d’azzardo.

      In tutte le filosofie e religioni si è sempre richiamato l’individuo ad alcune indicazioni restrittive, nei comportamenti e nella dieta, per provare così a mantenere lo stato di salute fisica e mentale e, al di là dei giudizi morali ormai obsoleti implicati da queste regole, possiamo riconoscerne il valore dell’astensione e dell’assenza, con cui ci stiamo confrontando oggi forzatamente per altri motivi.

      In questi vari periodi di lock down, in molti abbiamo scoperto o ritrovato il valore della lentezza, dell’inventare o riscoprire giochi semplici chiusi in casa con i nostri figli, nelle ricette tradizionali, nei sapori poveri ed essenziali e autentici di cibi ritrovati, perché più vicini a noi e quindi più accessibili. Imparando che a volte, per gestire il nostro desiderio, e al di là delle esperienze di vita che possono avere provocato in noi vari comportamenti di continua ed esagerata ricerca, sembra essere necessario imparare a stare col vuoto, con l’assenza, con la mancanza, senza volerla riempire a tutti i costi e con qualunque cosa…provare a spostare l’interesse dall’incessante costruzione di un valore personale sempre più alto, basato sul cumulo di conquiste di vario genere che ci definisce, allo stare nel presente ordinario ma gustato con curiosità e con tutti nostri sensi, concederci esperienze che possono essere anche ricche e profonde, uniche nella loro semplicità, se sappiamo aspettare…meglio soli che male accompagnati, dicevano le nostre nonne! E questo atteggiamento mentale può essere trasposto a tutte le esperienze, non solo in campo sentimentale, e per nostra fortuna può essere appreso.



      Mi è capitato di fare ritiri di meditazione anche molto lunghi, dove ho scoperto che nella concentrazione ci si confronta con la propria debolezza, nel silenzio si riscopre la gioia della comunicazione, nel digiuno il piacere e l’energia del cibo. Esistono altri modi per imparare ad essere e a restare a contatto con sé stessi e questi passano quasi sempre nel sapere stare in silenzio, a contatto con il vuoto e con l’attesa, uno di questi è la lenta raccolta e preparazione del cibo…in cui sarà il sapore che risveglierà il gusto mentre la pienezza verrà trovata nella completezza dell’esperienza e non più nel gonfiore dello stomaco e del corpo…

      Così come una campana proprio perché vuota e non piena può produrre un suono, anche un piatto lasciato vuoto potrebbe fare la differenza, se ne approfittiamo per stare con quel vuoto senza riempirlo a tutti costi. E quando riusciamo a stare per un po’ presenti al silenzio, al vuoto e alla mancanza si generano inaspettate le nuove prospettive, le nuove esperienze, i nuovi sapori, le nuove relazioni…

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      Scorrere nel nuovo tempo

      Quando un nuovo anno si srotola davanti a noi, ancora fresco ed inviolato nella nostra mente, ci pare che si possa finalmente dare una svolta alla nostra vita, dare inizio a nuove cose e nuove risposte alle nostre speranze.

      In realtà nulla distingue questo giorno dall’ultimo dell’anno vecchio, a parte una data e un numero, a cui può legarsi la nostra intenzione ed il suo riconoscimento nei nostri cuori. In questo la natura ci è d’aiuto, riaprendo in questo periodo le porte di nuovi inizi e di nuove possibilità nel presagio della nuova luce, pur nel momento del massimo freddo e assenza di luce, nella rigidità e letargia dell’assenza di vita, o che così sembra.

      Spesso però i sensi di colpa e la vergogna ci impediscono di fare passi in direzioni nuove, pur avendo riconosciuto i nostri errori passati la nostra identità resta però come incagliata e congelata nelle nostre scelte passate, ormai diventate obsolete e fallaci…così ci adattiamo a vivere una insopportabile diversità tra ciò che pensiamo/sentiamo di essere stati e ciò che vorremmo/potremmo essere… dissonanza da cui emergono perciò sensi di colpa e vergogna.

      L’origine di questo soffrire è fin troppo semplice, e sta tutto nella nostra identificazione con un sé (o un io) stabile e incrollabile, con una sua identità permanente e pietrificata a cui vorremmo essere coerentemente fedeli, e che benché fittizia e ormai almeno parzialmente inutile, ci impedisce di cambiare, anzi addirittura di potere immaginare il cambiamento e la nostra stessa trasformazione (e qui sta la vera difficoltà…).

      Se lasciamo che la nostra congelata rappresentazione interna si sciolga, possiamo permetterci di assomigliare invece ad una cascata, la nostra mente / corpo come un flusso che incessantemente scorre, cambiando a seconda della pioggia e del calore, dei sassi che incontra e delle balze da cui si slancia o si lascia cadere, un flusso sempre diverso pur mantenendo provvisoriamente nome e funzione. Se ce lo permettiamo quindi, possiamo cambiare e trasformarci senza vergogna a causa di quello che ci ha portato fino a questo nuovo anno, ma anzi facendone tesoro per arricchire la nostra memoria mentre lasciamo il passato nel passato…e ci tuffiamo con entusiasmo e gioia verso le nuove direzioni che portiamo nel cuore.

      E così, come la cascata, poter approfittare della ricchezza d’acqua per infrangerci a terra tra luminose goccioline, formando incessanti arcobaleni, ma anche della scarsità di pioggia per dissetare piante e animali che incontriamo nel nostro raro e stentato scorrere…scorrere gioiosamente nel tempo.

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        Autunno, l’estate si scioglie nella pioggia e la vita si tinge di caldi colori…

        Panorama dalla terrazza di Gualdo (LU)

        Se qualcuno ha mai provato ad usare gli acquerelli sa quello che intendo…il colore, vivo e squillante nel godet, ancora intatto sulla punta del pennello, quando tocca la carta bagnata (una tecnica che prediligo) si stempera, si addolcisce, si sfuma, si mescola…e assume forma e intensità inaspettata. Quasi una risposta, a volte del tutto autonoma, all’intenzione del tocco, che va accolta, scoperta e poi, forse, interpretata…

        E’ la stessa sensazione di questi giorni, quest’anno poi l’estate ha ceduto di colpo il suo potere all’autunno ed i colori del paesaggio sono ancora piuttosto intensi mentre la pioggia provvede a sciogliere tutto quello che può…la vecchia polvere della sete estiva, i frutti ormai un po’ guasti, le foglie che impercettibilmente cambiano tonalità di verde, abbandonano gradualmente la porzione di blu per rivolgersi ai toni caldi, quasi un anelito verso il calore estivo che ci sta lentamente abbandonando…per poi imbottire pian piano il terreno dove anneriscono sotto il frequente pianto del cielo.

        Così, mentre il vento più fresco e l’umidità ci sorprendono, ci pare di rimpiangere il caldo e secco in cui boccheggiavamo poche settimane fa, la pienezza della stagione estiva che dobbiamo, ahimè o per fortuna? abbandonare…qualche nebbia precoce sale, qualche nuvola invece scende a toccare i campi arati e le zolle aperte e il paesaggio si trasforma in un ricordo appannato, del sapore dei sogni…

        Così a volte succede che anche noi ci ritroviamo a dover lasciare qualcosa, il cuore come una zolla spaccata e aperta verso il pallido sole e la nebbia…a volte le lacrime ci aiutano a sciogliere il dolore insieme al cortisolo che si portano via, e a stemperare rabbia e tristezza. A volte invece restiamo bloccati e congelati, nella paura che l’esperienza di perdita potrà ripetersi, ancora una volta…e tremiamo nell’imboccare l’ingresso nel territorio dell’indesiderato.

        Ma come ha potuto Persefone all’equinozio d’autunno abbandonare la madre Demetra, ricca di gioia e di frutti, e scendere nel profondo? con quale animo e quale forza? per la verità la sua non è stata una scelta, ma il mito ci racconta che fu rapita da Ade, un dio peraltro saggio e buono benché governatore dell’aldilà, di quel mondo buio della resa dei conti dove a volte non vogliamo entrare. Così noi ci avventuriamo nella scoperta di noi stessi soltanto quando veniamo brutalmente strappati alla nostra estate, alla nostra zona di comfort, quel luogo dove tutto sembra bello, colorato, turgido di vita e di promesse e soprattutto sembra vero, e stabilmente vero per sempre…ma la transitorietà della natura e delle sue stagioni non è che un riflesso della nostra mente, anch’essa transitoria essendo flusso di coscienza, ed è questa l’unica reale verità.

        Quando la nostra consapevolezza appare quindi come essere un flusso, che gocciola e scava dentro il nostro inferno, si aprono paesaggi meravigliosi e vertigini sorprendenti e noi possiamo scoprire qualcosa di nuovo su noi stessi, nuovo ma ugualmente vero mentre ci sentiamo accolti nell’atmosfera sospesa della grotta come in un caldo e quieto grembo materno che ci offre sicurezza. Sappiamo che Persefone, sposa di Ade, al solstizio concepirà il nuovo sole dell’anno che dopo la gestazione invernale salirà alto in cielo, mentre la nuova stagione uscirà all’aperto, primavera grondante di vita, fiori, profumi e promesse di una nuova realtà. Quindi possiamo immaginare che il periodo della discesa agli inferi sia letteralmente il periodo più fertile e fecondo dell’anno, se siamo disposti a lasciare andare naturalmente tutto ciò che può essere dilavato e sciolto dalle piogge…aspettative, speranze, progetti…tutto ciò che ha fatto il suo tempo, incluso il nostro stesso corpo se è arrivato il suo tempo…Lasciare che i colori si stemperino in una nuova immagine, una visione, una prospettiva che ci accompagnerà nei prossimi mesi per dare gusto e sapore ai frutti del prossimo anno.

        La tentazione nella stagione della perdita, perché di questo ci parla l’autunno, è di aggrapparsi e far finta di nulla, sforzandosi di mantenere i ritmi dell’estate e il fisico (e in modo a volte imbarazzante anche l’immaturità) della gioventù…mentre anche la perdita, la transizione, il cambiamento, potrebbero portare con sé un valore che possiamo riconoscere, quello di nutrire il nuovo nella trasformazione di ciò che è stato.

        Che fare allora, mentre accogliamo più o meno volenterosi il decomporsi di ciò che avevamo progettato, sperato e nutrito? Possiamo certamente rallentare il ritmo, circondarci di tenerezza, concederci qualche momento di pausa in cui assaporare il calore dell’abbraccio di Ade…qualunque sia il significato che esso ha per noi…fermarci e stare nel presente, circondati dal buio e immersi nella nebbia, dove soltanto la visione e l’immaginazione possono avvenire e diventare creativi.

        E lì, nel presente, essere come un immobile e misterioso buco nero che in un’altra dimensione crea l’universo futuro con le sue luminose galassie di possibilità.

        La saggia forza della resa

        Nel momento della ripartenza dopo l’emergenza di questi ultimi mesi, stiamo tentando di fare un bilancio di quello che è successo, e in questo fare dobbiamo prendere atto dello scenario che si presenta ai nostri occhi, mano a mano che la polvere sollevata dal “crollo” si posa e lascia intravedere le rovine dei nostri progetti e della nostra vita com’era.

        In questo periodo i programmi, più o meno importanti, di molti di noi sono andati a monte. C’è chi ha parlato di tsunami, chi di crollo. Questa esperienza della pandemia ci ha trovato del tutto impreparati, tra tutti gli scenari che ci eravamo prefigurati per questi mesi primaverili, questo proprio no, non l’avevamo previsto. La prima reazione è stata quella di resistere e continuare a tentare di fare nello stesso modo di sempre quello che ci eravamo proposti, per alcuni a costo anche di violare le nuove regole. Così per molti la reazione è stata la stessa che avremmo avuto di fronte ad un impedimento o a un fallimento personale….abbiamo provato a resistere. Ma la resistenza rafforza l’energia a cui tenta di opporsi, dandole di conseguenza più potere ed energia contro cui dover lavorare.

        Qualcuno cercando un senso è tentato di includere questa esperienza della pandemia in una legge ricorrente, rinforzando la sensazione di essere ripetutamente perseguitato da qualche problema personale che si ripresenta ciclicamente…il problema economico, o quello della solitudine, ad esempio… non importa come possiamo cercare di ignorarlo, evitarlo o scappare da esso… ci sembra che possiamo liberarci di qualcosa che non vogliamo semplicemente spingendolo via, non pensandoci o nutrendo la credenza con la spavalderia che possa essere qualche cosa che a noi non toccherà di sicuro. Anche questa è una forma di resistenza, la resistenza alla realtà delle cose.

        Ma ciò a cui si resiste, persiste.

        La resistenza infatti tende a rafforzare le energie a cui tenta di opporsi dando loro valore e potere. Inoltre, la resistenza ci impedisce di imparare di più su ciò a cui resistiamo. Per comprendere appieno qualcosa, dobbiamo aprirci abbastanza da ricevere la sua energia; altrimenti, rimaniamo ignoranti delle sue lezioni. In questo momento l’energia da comprendere, dopo avere convissuto con il tempo sospeso, è sapere convivere con l’incertezza di cui siamo costretti a prendere atto, e con la sconosciuta restrizione di ciò che maggiormente ci caratterizza come specie e cioè della socialità, per lo meno fisica…

        Quindi l’energia del cambiamento e del saper rispettare se stessi pur nella necessaria flessibilità e trasformazione che i nuovi tempi esigono da noi. Tutto ciò che resiste ci irrigidisce e ci fa soffrire, nel processo di adattamento invece possiamo scoprire nuove strade e nuove idee/soluzioni.

        In sostanza, i nostri principali ostacoli sono dentro di noi. Ciò che ci affligge e ci insegue a livello interiore ha un modo di manifestarsi nel nostro ambiente sotto forma di persone, eventi e problemi che sembrano essere al di fuori del nostro controllo. Ma tutte queste espressioni esterne sono riflessi del nostro aggrapparsi a miraggi e a desideri diventati ora non adeguati, ed è invece dentro di noi che possiamo sperimentare nuove ipotesi e nuovi scenari con sicurezza, arrendendoci a ciò che temiamo e non ci piace, lasciando che sia, per imparare a conoscerlo. Può sembrare un proposito spaventoso e potremmo riconoscere molta resistenza in noi, mentre iniziamo il processo di apertura a ciò che temiamo.

        Ma più impariamo ad arrenderci e a guardare con attenzione e curiosità, con consapevolezza, ciò che maggiormente temiamo e cioè il pericolo e la perdita inaspettati, e più i demoni che ci affliggono, gli ostacoli interiori che impariamo così a riconoscere, scompaiono nel processo mentre diventeremo coraggiosi, creativi e flessibili.

        Come Soli solitari

        Alone solare fotografato a Rosignano Marittimo il 16 aprile 2020

        Il meraviglioso alone solare di 22°, visibile nel cielo di mezza Italia lo scorso 16 aprile, mi ha portato ad approfondire il mito di Issione che non conoscevo, un uomo legato e rinchiuso nel cerchio di fuoco per essersi congiunto alla nuvola Nephele e per questo punito da Zeus con l’aiuto di Mercurio (la cui elongazione media intorno al sole per l’appunto corrisponde ai 22°…) e che viene meglio compreso collegandolo a questo fenomeno astronomico. (P.Colona, 2016)
        Oltre al significato tradizionale di preannunciare il peggioramento del tempo, data la realtà meteorologica che provoca questo fenomeno e che infatti dopo 3 giorni si è puntualmente verificato, mi è sembrata una bella immagine di noi umani in questo tempo sospeso, Soli solitari, rinchiusi dalla nostra ragione (Mercurio) nel cerchio sempre più doloroso della nostra distanza sociale obbligatoria.

        La colpa che Issione deve espiare come sempre nel mito è una trasgressione, la rottura di un patto o di una regola, il tradimento della fiducia…E infatti Issione, umano proprio come noi, ha trasgredito un sacco di regole, familiari e sociali. Per continuare l’analogia con la nostra specie nel 21° secolo, prima fra tutte il tradimento della legge naturale che ci vede come parte di questa e non superiore ad essa…e non a caso Issione ne discute proprio con la nuvola che Zeus gli ha inviato per sondare le sue reali intenzioni, formandola ad immagine di Hera o Era, che nella mitologia greca è una delle divinità più importanti, patrona del matrimonio e del parto, protettrice del bestiame, sorella e moglie di Zeus e che Issione, tra le altre malefatte, aveva insidiato.


        “LA NUBE Molte cose son mutate sui monti. Lo sa il Pelio, lo sa l’Ossa e l’Olimpo. Lo sanno monti piú selvaggi ancora.
        ISSIONE E che cosa è mutato, Nefele, sui monti?
        LA NUBE Né il sole né l’acqua, Issione. La sorte dell’uomo, è mutata. Ci sono dei mostri. Un limite è posto a voi uomini. L’acqua, il vento, la rupe e la nuvola non son piú cosa vostra, non potete piú stringerli a voi generando e vivendo. Altre mani ormai tengono il mondo. C’è una legge, Issione.
        ISSIONE Quale legge?
        LA NUBE Già lo sai. La tua sorte, il limite…”

        “Dialoghi con Leucò (Einaudi tascabili. Scrittori Vol. 600)” di Cesare Pavese 

        Come ammonisce Annalisa Corrado dalle pagine de La Stampa, ” In definitiva, questa incredibile situazione emergenziale che ci troviamo a fronteggiare, questa spaventosa pandemia, avrebbe elementi di evidente parallelismo con la crisi climatica, con la distruzione e il saccheggio della biodiversità, con le condizioni insalubri in cui molti di noi sono costretti a vivere e lavorare. Sarebbe, cioè, anch’essa riconducibile al modello economico dominante: estrattivo, fossile, aggressivo e dedito al saccheggio sistematico delle risorse dell’ecosistema.” (per approfondimenti vedi l’articolo originale)

        Ed eccoci quindi incatenati dalla ragione ad un cerchio di fuoco, un vero tormento dato che al momento il distanziamento sociale ci priva di ciò che primariamente ci rende umani, esseri sociali e cooperativi, e costituisce però l’unica arma che riusciamo ad opporre, al momento, alla pandemia. Bisognerebbe avere il coraggio di immaginare nuove prospettive, nuovi stili di vita, uscire da schemi mentali ripetitivi e ormai disfunzionali, stretti come l’orbita di Mercurio che ci lega al nostro personale Sole egocentrico e un po’ narcisista, e che ci portano a desiderare di tornare indietro, a quando potevamo credere di essere onnipotenti padroni della natura e di non avere limiti, e che le pandemie accadessero solo nei film…Provare a generare quella mente del principiante in grado di vedere la realtà così com’è, un universo infinito di stelle e di soli interdipendenti, ed adattarsi ad essa in modo concreto e flessibile, partendo dalla consapevolezza profonda della propria debolezza e vulnerabilità.

        E così, forse, finalmente arriverà la pioggia, per innaffiare i nuovi semi e spegnere il fuoco del nostro orgoglio.

        Gioia nell’arcobaleno

        7 marzo 2020 – Il bello degli arcobaleni è che sono difficili da fotografare…

        Quello che più manca in questo periodo di costrizione sono l’esperienza di connessione e l’interezza che si possono provare in natura, soprattutto quando un insieme di coincidenze portano a sperimentare tutti gli elementi simultaneamente…aria e acqua mescolate negli spruzzi e nelle nuvole, la terra tra le radici degli alberi che si fa pietra scivolosa e inevitabile, il sole, fuoco impetuoso e supremo incontra con gioia tutti gli altri elementi formando un arcobaleno nello spazio per l’occasione precipitato dal cielo, che accoglie la pioggia dorata ferma nell’attimo che rinuncia al tempo. Questa è proprio la stessa natura umana! che mantiene la sua incontaminata naturalezza anche se il corpo è intrappolato tra muri e finestre chiuse, corpo che possiamo incontrare con fiducia e in cui possiamo ripararci quando cerchiamo un respiro di sollievo, facendo spazio tra i pensieri all’attimo presente, di nuovo rinunciando al tempo. Così scopriamo come ogni cosa ed ogni esperienza sia interconnessa e che lo stesso spazio del cielo è quello che mi circonda proprio ora entrando col respiro, come non ci sia più reale differenza tra il me il noi gli altri l’ambiente e l’universo e qualunque evento sia necessario in una prospettiva naturale. E dal riconoscimento avviene l’accettazione della realtà così com’è, allora nella completezza possiamo volare senza fatica.

        E io ho il vento nel cuore,

        e con la tempesta corro nei cieli carichi di pioggia;

        salgo e scendo, sfreccio rapido fra le fole che s’intrecciano

        in mille gorghi e spirali.

        E io ho il sole nel cuore,

        e con raggi sinuosi mi lascio scivolare fino a terra;

        m’immergo nella calda luce e sprofondo nel culmine del volto sorridente

        dove la dolce carezza m’acquieta.

        E io ho la pioggia nel cuore,

        e con gli scrosci divento acqua ridente;

        cado quand’essa cade e in rivoli m’addentro nei meandri oscuri,

        fra le pieghe di Madre Terra.

        E io ho la terra nel cuore,

        profumata pelle di chicchi di roccia;

        sono pietra dura e sabbia fine, zolla fertile ed erba tenera

        e con risa di frane corro lungo le montagne.

        E io sono aria nel cuore,

        e sono fuoco nel cuore;

        sono acqua

        e sono terra nel cuore.

        Riccardo Taraglio, con lo pseudonimo di Tail na Bride – Eryr Nemeton (“Fronte di Bride – Aquila del Nemeton”)

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