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La saggia forza della resa

Nel momento della ripartenza dopo l’emergenza di questi ultimi mesi, stiamo tentando di fare un bilancio di quello che è successo, e in questo fare dobbiamo prendere atto dello scenario che si presenta ai nostri occhi, mano a mano che la polvere sollevata dal “crollo” si posa e lascia intravedere le rovine dei nostri progetti e della nostra vita com’era.

In questo periodo i programmi, più o meno importanti, di molti di noi sono andati a monte. C’è chi ha parlato di tsunami, chi di crollo. Questa esperienza della pandemia ci ha trovato del tutto impreparati, tra tutti gli scenari che ci eravamo prefigurati per questi mesi primaverili, questo proprio no, non l’avevamo previsto. La prima reazione è stata quella di resistere e continuare a tentare di fare nello stesso modo di sempre quello che ci eravamo proposti, per alcuni a costo anche di violare le nuove regole. Così per molti la reazione è stata la stessa che avremmo avuto di fronte ad un impedimento o a un fallimento personale….abbiamo provato a resistere. Ma la resistenza rafforza l’energia a cui tenta di opporsi, dandole di conseguenza più potere ed energia contro cui dover lavorare.

Qualcuno cercando un senso è tentato di includere questa esperienza della pandemia in una legge ricorrente, rinforzando la sensazione di essere ripetutamente perseguitato da qualche problema personale che si ripresenta ciclicamente…il problema economico, o quello della solitudine, ad esempio… non importa come possiamo cercare di ignorarlo, evitarlo o scappare da esso… ci sembra che possiamo liberarci di qualcosa che non vogliamo semplicemente spingendolo via, non pensandoci o nutrendo la credenza con la spavalderia che possa essere qualche cosa che a noi non toccherà di sicuro. Anche questa è una forma di resistenza, la resistenza alla realtà delle cose.

Ma ciò a cui si resiste, persiste.

La resistenza infatti tende a rafforzare le energie a cui tenta di opporsi dando loro valore e potere. Inoltre, la resistenza ci impedisce di imparare di più su ciò a cui resistiamo. Per comprendere appieno qualcosa, dobbiamo aprirci abbastanza da ricevere la sua energia; altrimenti, rimaniamo ignoranti delle sue lezioni. In questo momento l’energia da comprendere, dopo avere convissuto con il tempo sospeso, è sapere convivere con l’incertezza di cui siamo costretti a prendere atto, e con la sconosciuta restrizione di ciò che maggiormente ci caratterizza come specie e cioè della socialità, per lo meno fisica…

Quindi l’energia del cambiamento e del saper rispettare se stessi pur nella necessaria flessibilità e trasformazione che i nuovi tempi esigono da noi. Tutto ciò che resiste ci irrigidisce e ci fa soffrire, nel processo di adattamento invece possiamo scoprire nuove strade e nuove idee/soluzioni.

In sostanza, i nostri principali ostacoli sono dentro di noi. Ciò che ci affligge e ci insegue a livello interiore ha un modo di manifestarsi nel nostro ambiente sotto forma di persone, eventi e problemi che sembrano essere al di fuori del nostro controllo. Ma tutte queste espressioni esterne sono riflessi del nostro aggrapparsi a miraggi e a desideri diventati ora non adeguati, ed è invece dentro di noi che possiamo sperimentare nuove ipotesi e nuovi scenari con sicurezza, arrendendoci a ciò che temiamo e non ci piace, lasciando che sia, per imparare a conoscerlo. Può sembrare un proposito spaventoso e potremmo riconoscere molta resistenza in noi, mentre iniziamo il processo di apertura a ciò che temiamo.

Ma più impariamo ad arrenderci e a guardare con attenzione e curiosità, con consapevolezza, ciò che maggiormente temiamo e cioè il pericolo e la perdita inaspettati, e più i demoni che ci affliggono, gli ostacoli interiori che impariamo così a riconoscere, scompaiono nel processo mentre diventeremo coraggiosi, creativi e flessibili.

Come Soli solitari

Alone solare fotografato a Rosignano Marittimo il 16 aprile 2020

Il meraviglioso alone solare di 22°, visibile nel cielo di mezza Italia lo scorso 16 aprile, mi ha portato ad approfondire il mito di Issione che non conoscevo, un uomo legato e rinchiuso nel cerchio di fuoco per essersi congiunto alla nuvola Nephele e per questo punito da Zeus con l’aiuto di Mercurio (la cui elongazione media intorno al sole per l’appunto corrisponde ai 22°…) e che viene meglio compreso collegandolo a questo fenomeno astronomico. (P.Colona, 2016)
Oltre al significato tradizionale di preannunciare il peggioramento del tempo, data la realtà meteorologica che provoca questo fenomeno e che infatti dopo 3 giorni si è puntualmente verificato, mi è sembrata una bella immagine di noi umani in questo tempo sospeso, Soli solitari, rinchiusi dalla nostra ragione (Mercurio) nel cerchio sempre più doloroso della nostra distanza sociale obbligatoria.

La colpa che Issione deve espiare come sempre nel mito è una trasgressione, la rottura di un patto o di una regola, il tradimento della fiducia…E infatti Issione, umano proprio come noi, ha trasgredito un sacco di regole, familiari e sociali. Per continuare l’analogia con la nostra specie nel 21° secolo, prima fra tutte il tradimento della legge naturale che ci vede come parte di questa e non superiore ad essa…e non a caso Issione ne discute proprio con la nuvola che Zeus gli ha inviato per sondare le sue reali intenzioni, formandola ad immagine di Hera o Era, che nella mitologia greca è una delle divinità più importanti, patrona del matrimonio e del parto, protettrice del bestiame, sorella e moglie di Zeus e che Issione, tra le altre malefatte, aveva insidiato.


“LA NUBE Molte cose son mutate sui monti. Lo sa il Pelio, lo sa l’Ossa e l’Olimpo. Lo sanno monti piú selvaggi ancora.
ISSIONE E che cosa è mutato, Nefele, sui monti?
LA NUBE Né il sole né l’acqua, Issione. La sorte dell’uomo, è mutata. Ci sono dei mostri. Un limite è posto a voi uomini. L’acqua, il vento, la rupe e la nuvola non son piú cosa vostra, non potete piú stringerli a voi generando e vivendo. Altre mani ormai tengono il mondo. C’è una legge, Issione.
ISSIONE Quale legge?
LA NUBE Già lo sai. La tua sorte, il limite…”

“Dialoghi con Leucò (Einaudi tascabili. Scrittori Vol. 600)” di Cesare Pavese 

Come ammonisce Annalisa Corrado dalle pagine de La Stampa, ” In definitiva, questa incredibile situazione emergenziale che ci troviamo a fronteggiare, questa spaventosa pandemia, avrebbe elementi di evidente parallelismo con la crisi climatica, con la distruzione e il saccheggio della biodiversità, con le condizioni insalubri in cui molti di noi sono costretti a vivere e lavorare. Sarebbe, cioè, anch’essa riconducibile al modello economico dominante: estrattivo, fossile, aggressivo e dedito al saccheggio sistematico delle risorse dell’ecosistema.” (per approfondimenti vedi l’articolo originale)

Ed eccoci quindi incatenati dalla ragione ad un cerchio di fuoco, un vero tormento dato che al momento il distanziamento sociale ci priva di ciò che primariamente ci rende umani, esseri sociali e cooperativi, e costituisce però l’unica arma che riusciamo ad opporre, al momento, alla pandemia. Bisognerebbe avere il coraggio di immaginare nuove prospettive, nuovi stili di vita, uscire da schemi mentali ripetitivi e ormai disfunzionali, stretti come l’orbita di Mercurio che ci lega al nostro personale Sole egocentrico e un po’ narcisista, e che ci portano a desiderare di tornare indietro, a quando potevamo credere di essere onnipotenti padroni della natura e di non avere limiti, e che le pandemie accadessero solo nei film…Provare a generare quella mente del principiante in grado di vedere la realtà così com’è, un universo infinito di stelle e di soli interdipendenti, ed adattarsi ad essa in modo concreto e flessibile, partendo dalla consapevolezza profonda della propria debolezza e vulnerabilità.

E così, forse, finalmente arriverà la pioggia, per innaffiare i nuovi semi e spegnere il fuoco del nostro orgoglio.

Gioia nell’arcobaleno

7 marzo 2020 – Il bello degli arcobaleni è che sono difficili da fotografare…

Quello che più manca in questo periodo di costrizione sono l’esperienza di connessione e l’interezza che si possono provare in natura, soprattutto quando un insieme di coincidenze portano a sperimentare tutti gli elementi simultaneamente…aria e acqua mescolate negli spruzzi e nelle nuvole, la terra tra le radici degli alberi che si fa pietra scivolosa e inevitabile, il sole, fuoco impetuoso e supremo incontra con gioia tutti gli altri elementi formando un arcobaleno nello spazio per l’occasione precipitato dal cielo, che accoglie la pioggia dorata ferma nell’attimo che rinuncia al tempo. Questa è proprio la stessa natura umana! che mantiene la sua incontaminata naturalezza anche se il corpo è intrappolato tra muri e finestre chiuse, corpo che possiamo incontrare con fiducia e in cui possiamo ripararci quando cerchiamo un respiro di sollievo, facendo spazio tra i pensieri all’attimo presente, di nuovo rinunciando al tempo. Così scopriamo come ogni cosa ed ogni esperienza sia interconnessa e che lo stesso spazio del cielo è quello che mi circonda proprio ora entrando col respiro, come non ci sia più reale differenza tra il me il noi gli altri l’ambiente e l’universo e qualunque evento sia necessario in una prospettiva naturale. E dal riconoscimento avviene l’accettazione della realtà così com’è, allora nella completezza possiamo volare senza fatica.

E io ho il vento nel cuore,

e con la tempesta corro nei cieli carichi di pioggia;

salgo e scendo, sfreccio rapido fra le fole che s’intrecciano

in mille gorghi e spirali.

E io ho il sole nel cuore,

e con raggi sinuosi mi lascio scivolare fino a terra;

m’immergo nella calda luce e sprofondo nel culmine del volto sorridente

dove la dolce carezza m’acquieta.

E io ho la pioggia nel cuore,

e con gli scrosci divento acqua ridente;

cado quand’essa cade e in rivoli m’addentro nei meandri oscuri,

fra le pieghe di Madre Terra.

E io ho la terra nel cuore,

profumata pelle di chicchi di roccia;

sono pietra dura e sabbia fine, zolla fertile ed erba tenera

e con risa di frane corro lungo le montagne.

E io sono aria nel cuore,

e sono fuoco nel cuore;

sono acqua

e sono terra nel cuore.

Riccardo Taraglio, con lo pseudonimo di Tail na Bride – Eryr Nemeton (“Fronte di Bride – Aquila del Nemeton”)

Il virus questo non lo sa

La Creazione di Adamo-part. di Michelangelo Buonarroti, (1511 circa) parte della decorazione della volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma.

La primavera sta accadendo ovunque e quest’anno parrebbe anche senza di noi. Come fiori solitari, chiusi in casa e senza stringersi la mano, per non dire altro, quando vorremmo essere vicini vicini per farci coraggio. Ma non si può.

In una solitudine forzata nella stagione degli incontri e delle nuove relazioni, mentre fuori un tempo bellissimo accompagna quel germogliare e sbocciare a cui vorremmo partecipare proprio adesso, lasciandoci riscaldare da questo nuovo sole dell’anno.

Stiamo provando ad opporre il vantaggio evolutivo della capacità di pianificazione e, soprattutto, inibizione, che sono prerogative uniche della specie umana, alla legge naturale del virus che cerca un punto di equilibrio tra il suo proliferare nelle nostre cellule e la nostra sopravvivenza. Dovrebbero essere i più deboli tra noi a farne le spese, e questo potrebbe essere il vantaggio per la nostra specie, uscire rafforzata da questa battaglia di selezione naturale.

Ma noi forse, perché ancora non è detto, abbiamo scelto il vantaggio e la forza del pensiero e del libero arbitrio, e la vecchiaia e la debolezza sono ciò che imbeve di saggezza cultura e progresso, memoria e linguaggio che ci permettono di trasferire da una generazione all’altra quel che abbiamo appreso dalla storia, anche la storia delle epidemie, e ciò che davvero ci serve. Non è nostra la legge del più forte, ma quella del più astuto, o saggio…e stiamo richiamando dalla pensione alle posizioni di guida e comando proprio i medici più anziani, esperti di passate epidemie, mentre le equipe mediche delle popolazioni più povere e soggette a rischio epidemico, vengono ad insegnarci come si fa.

Il libero arbitrio, la possibilità di scegliere, è ciò che ci distingue dalle altre specie e secondo la neuroanatomia funzionale risiede nella corteccia fronto polare. Spesso confondiamo l’impulso e l’istinto con la libertà di comportarci come ci pare, mentre in realtà pare proprio che la capacità di posporre i nostri obiettivi nel tempo derivi dalla funzione inibitoria, che permette la pianificazione e quindi la vera libertà, anche dagli impulsi quando non ci servono… Per fare un esempio…meglio un uovo oggi o una gallina domani? La percezione del rischio è spesso sottovalutata a favore di una ricompensa immediata, e perciò preferiamo l’abbraccio di oggi a rischio di un invisibile contagio, alla solitudine della quarantena che può però fermare il virus e permetterci al più presto, ma non oggi, di ritornare alla vicinanza e all’intimità a cui siamo abituati. D’altra parte proprio l’abbraccio e il contatto fisico costituiscono il mezzo per ottenere quella regolazione emotiva che ci permetterebbe, almeno per un po’, di contrastare la reazione di allarme che ci prende quando ci rendiamo conto di essere, ad esempio, nel bel mezzo di una pandemia.

La regolazione inibitoria infatti è governata proprio dal sistema parasimpatico, disattivato quando siamo in allarme, e in particolare dalla sua branca ventrovagale, un circuito mielinizzato molto veloce, che mette in relazione gli organi sopra diaframmatici cioè cuore e polmoni, con i muscoli del volto e della faringe. E’ il circuito calmante e frenante prerogativa dei mammiferi superiori e dell’uomo, che hanno bisogno di esprimere e comunicare velocemente le emozioni col volto e con la prosodia del linguaggio e di essere predisposti all’ascolto per mettere in atto i comportamenti di ingaggio sociale, di affiliazione e di cooperazione atti ad allevare i cuccioli, a proteggersi a vicenda e sopravvivere.

Quando siamo in una situazione di allarme costante come in questi giorni, siamo governati dal sistema simpatico che ci predispone all’azione, ma se non abbiamo la possibilità di attaccare o fuggire entriamo in uno stato di stress, sperimentando paura e rabbia, e conseguenti irritazione e irrequietezza se non possiamo dare sfogo a queste emozioni primarie. Se a questo punto non possiamo neanche contattare i nostri simili per ripristinare lo stato di sicurezza -appreso nella relazione di attaccamento nei primissimi mesi e anni di vita- potrebbe prevalere l’attivazione del sistema parasimapatico nel ramo dorsovagale, che senza arrivare a portarci allo stato estremo di freezing, produce però un rallentamento ideo motorio, prostrazione e stanchezza fisica, ottundimento mentale ed emozioni di tristezza, ed è associato quindi ad uno stato depressivo, per di più favorito dalla solitudine, ancora una volta dalla paura e dalla mancanza di prospettive certe che caratterizzano queste giornate.

Come possiamo quindi entrare in uno stato parasimpatico ventrovagale, cioè ripristinare le condizioni di sicurezza in assenza del contesto sociale e ambientale al quale siamo abituati? Questo stato bio psichico interno può essere favorito dalle attività che possiamo svolgere soltanto in presenza di questa specifica attivazione: ridere il più possibile, meditare, svolgere attività creative come scrivere, cantare, dipingere, suonare, fare leggera attività fisica (come ballare davanti alla televisione…), contattare i nostri cari con videochat e non solo per telefono, in modo che attraverso il feedback facciale e il contatto sociale possiamo ripristinare la nostra regolazione ventrovagale e la modalità cooperativa, e inibire i comportamenti impulsivi e a volte antisociali.

Così possiamo davvero decidere di stare in casa e mantenere un metro di distanza perché, noi lo sappiamo, è così che funziona il contagio ed è così che possiamo fermarlo. E il virus questo non lo sa, non sa ridere ballare e cantare e neanche fare le videochiamate…

Per approfondimenti sulla teoria polivagale di Stephen Porges https://www.stephenporges.com/

Parlare dal cuore

Siamo nella settimana di San Valentino, protettore degli innamorati e delle amicizie “del cuore”, dell’amore e di tutto ciò che è le nostre farfalle nello stomaco e quella sensazione tenera di sintonia, di esserci già visti e conosciuti, da qualche parte o forse in un qualche sogno… E’ quell’armonia che rompe il ghiaccio, che ci fa ridere o sorridere senza motivo, tranne che la vicinanza e la scoperta dell’esistenza dell’altro. E’ perciò la festa dell’ Anam Cara celtico (in gaelico Anima Amica) quella persona con cui ci si può confidare e di cui si sente l’appartenenza al di fuori di ogni categoria sociale, culturale, di razza…perché come diceva una vecchia canzone di Finardi “… l’amore non è nel cuore, ma è riconoscersi dall’odore”…

In natura in questo periodo viviamo l’alba dell’anno e cioè la seconda parte dell’inverno, quando il freddo e il secco del dominio di Saturno cedono il passo alle fresche piogge che inumidiscono e ammorbidiscono il terreno e irrorano i semi, vivificandoli in modo che possano germogliare. Il Sole fa il suo ingresso nei Pesci, ultimo segno invernale, il 21 febbraio e Venere, che in questo segno governato da Giove è in esaltazione, col suo significato di umidità fecondante ci apre all’amore in sintonia con il mondo naturale. E del resto anche nel corpo gli affetti più intimi sono sempre vivificati dall’acqua e dall’umidità, non solo il latte materno che nutre e trasmette sicurezza, o le lacrime che ci aiutano ad espellere cortisolo – l’ormone dello stress- ma anche il bacio ed ogni contatto più profondo che avviene fra esseri umani.

Come la luce è la fonte di vita sulla terra, così il pensiero è ciò che ci aiuta a riconoscere il divino che è in noi e quindi amando a riconoscerlo nell’altro, acquistando coraggio e apertura nella nuova alba dopo la notte della solitudine e nelle nuove possibilità aperte dall’amore come da un nuovo giorno…e provando a comunicare, dato che così spesso un nuovo contatto che si crea spontaneamente può essere poi danneggiato da una cattiva comunicazione…Ciascuno di noi ha una modalità espressiva preferita, chi quella visiva, chi quella tattile, chi privilegia sapori, odori o suoni, tutte modalità che entrano a far parte della nostra comunicazione con immediatezza e seguendo le proprie tendenze. Possiamo quindi chiederci con curiosità e interesse se chi ci sta di fronte ha la stessa nostra modalità o si esprime con una diversa…e provare a sintonizzarci per ascoltarla e comprenderla…E poi fortunatamente abbiamo sempre a disposizione le parole, il linguaggio, che trasversalmente potrebbe facilitarci il compito!

Ma che cosa serve quindi per comunicare al meglio? paradossalmente e innanzi tutto, avere imparato ad accettare sé stessi con i propri difetti e imperfezioni, perché questo ci darà la possibilità di aprirci e scoprirci senza sentirci inferiori o vulnerabili, e senza indossare una maschera linguistica che impedirà la vicinanza, a noi stessi e all’altro. Naturalmente le parole creano sempre mondi e paesaggi non completamente veri, ma dobbiamo stare attenti a non esagerare nella creatività, per non cadere nella menzogna…

Ciò che rende una persona un buon comunicatore è, in sostanza, la capacità di non lasciarsi turbare dagli aspetti più problematici o peculiari del proprio carattere. Può osservare la propria rabbia o tristezza, il proprio orgoglio e la propria sessualità con le proprie manie ed opinioni talvolta strane o desuete o forse imbarazzanti senza perdere la fiducia in sé o cadere nell’autocritica. Può aprirsi e parlare con chiarezza perché è riuscito a sviluppare un impagabile senso della propria accettabilità. Si piace abbastanza, senza essere un Narciso ma credendo di essere degno di essere ascoltato, conosciuto e amato per quello che è…

Se da bambini quindi non abbiamo avuto dei genitori sufficientemente buoni che hanno saputo amarci in modo incondizionato, senza pretendere che ogni aspetto di noi fosse piacevole e perfetto, è arrivato il momento di fare da soli, e di lasciare che la nostra muraglia di autocritica mostri qualche crepa aperta dall’acqua dell’amore e accettazione per noi stessi… se anche siamo un po’ strani, o a volte arrabbiati, o cattivi, o tristi, se non abbiamo ottenuto quel certo lavoro o quel titolo di studi, o quell’immagine sociale che avremmo potuto avere se soltanto… Siamo comunque degni di essere amati! e prima di tutto da noi stessi.

Coltivando la vicinanza e l’affetto per noi stessi, consapevoli della nostra verità così com’è, lo stesso tipo di ascolto e apertura potrà essere rivolto anche a chi ci sta accanto, accettando le sue imperfezioni e diversità.

Perché l’amore, si sa, nasce il primo giorno di noia…

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    Sospesa presenza

    Nei dintorni di Valpromaro (LU)

    Era parecchio tempo che volevo dare una voce a questa bella foglia che ho incontrato per caso e che non cade, ancora, anzi con l’aiuto di una vecchia tela di ragno e di un magico soffio di vento pare danzare nell’aria …così ho atteso un po’, finché qualcosa ha preso forma nella mia mente e posso dargli voce… L’attesa… è stare con quel che non c’è, ancora, familiarizzare con la mancanza e con il vuoto…

    Guarda caso, siamo nei giorni del solstizio, quando il sole si ferma ad aspettare… Che cosa può mai aspettare un sole? Forse di raccogliere le forze, che l’energia un po’ ritorni per poter risalire nel cielo e ritornare a dare a sua volta forza alle cose, alla natura, alla terra. Così in questi giorni, anche a mezzogiorno il sole è così basso sull’orizzonte da sembrare volere entrare nella terra a riposarsi e stare per un po’, finalmente, al buio. Stare con l’assenza, con la mancanza, con il vuoto. La casa, vuota. Il piatto, vuoto. Il portafogli, vuoto. Il letto, vuoto. Senso e significato, vuoti anche loro… Restare in presenza non significa ignorare ma accogliere, e anche quando l’emozione sembra intollerabile, possiamo provare ad allargare la nostra prospettiva, permettendoci di scoprire che il vuoto è generato solo dai contorni o recinti che noi abbiamo messo, che ci siamo imposti. Ma non è mai, davvero, così vuoto se guardiamo fuori dai recinti.

    Quando il silenzio è dappertutto, senza progetti e senza aspettative. È allora che l’attesa non è più attesa di qualcosa, ma diventa pienezza, rifugio e completezza e gioia di per sé. Siamo sempre, rapidamente, alla ricerca di qualcosa, nella fretta permessa dall’illusione della tecnologia e non ci fermiamo mai… Ingurgitiamo famelici esperienze, cose, sapori e persone, senza fermarci, senza stare, so-stare, quietamente nella mancanza, anche, di obiettivi. Quanti problemi nel nostro tempo così veloce derivano dal concederci tutto quello che possiamo in fretta, immediatamente, senza aspettare? Cibo, sesso, alcol, oggetti, sostanze ed esperienze, incessanti, senza pause, senza un momento d’ombra…senza darci il tempo di attendere prima di assaporare.

    Siamo ovviamente disconnessi dalla natura che nel suo ciclico alternare di luce e temperatura potrebbe ricordarci il giusto ritmo, con il suo abbraccio dirci quando è il momento di saziarci e quando digiunare, quando cantare e fare festa, quando stare in silenzio con noi stessi….noi stessi, questa la nostra paura più grande: riconoscerci per quello che siamo, fragili e quasi invisibili in una prospettiva naturale. L’unica adatta però per imparare ad accettarci e, in definitiva, ad amare la nostra fragilità e la nostra resilienza, il mondo colorato e profondo dei nostri pensieri che così spesso vogliamo cancellare o ignorare. 

    Come questa foglia, anche noi possiamo fare dell’attesa una danza e riconnetterci con la complessità del nostro essere che così spesso ci sfugge, e di cui sappiamo riconoscere solo qualche parte, ciò che si vede in superficie, a volte non sempre, quello che sembriamo…Imparare a fluttuare leggeri, a sintonizzarci con quello che accade, come naturalmente avviene al di là del tempo. Si potrebbe perciò stare nel danzare, il cielo sopra, la terra sotto e bosco e vento tutt’intorno. Forse al momento giusto arriverà anche un raggio di sole, o un po’ di pioggia… 

    L’autunno muore nell’inverno, l’inverno muore nella primavera

    Formazione nella grotta del Corchia
    Una formazione nella Grotta del Corchia a Levigliani (LU)

    Mai come nel momento dell’equinozio d’autunno, quando notiamo il rapido accorciarsi delle giornate, possiamo percepire il veloce cambiamento dei fenomeni naturali, la transitorietà delle esperienze che viene spiegata proprio dalla parola stessa equinozio, l’equilibrio perfetto si, ma di una notte soltanto. Così come al solstizio il sole sembra arrestarsi in cielo per qualche giorno, nell’equinozio invece cambia rapidamente di declinazione e nel caso dell’autunno, questa esperienza ci invita a lasciare andare velocemente le ore di luce e il calore vitale dell’estate con la stessa rapidità con cui Ade porta via l’amata Persefone, o Kore, a Demetra.

    Allo stesso modo a volte la vita ci sorprende, con bruschi cambiamenti inaspettati che siamo costretti ad accogliere ed accettare nonostante non avessimo davvero previsto quella svolta, quel cambiamento, quella diagnosi, quella perdita…

    Quando sperimentiamo qualcosa che ci fa provare shock e tristezza, potremmo sentire l’impulso di ritirarci dalla vita e di restare da soli a leccarci le ferite. Diventiamo consapevoli della nostra vulnerabilità e può sembrare che essere ritirati ci protegga dal mondo, mentre in questi periodi sarebbe importante farsi raggiungere dalle persone fidate e preziose che si interessano di più a noi. Anche con i nostri migliori pensieri e ragionamenti, non possiamo certo sapere se l’esperienza o la prospettiva di qualcun altro può darci quello sguardo diverso che ci occorre in questo momento. L’universo ci parla attraverso molti canali e quando ci apriamo per ricevere i suoi messaggi, potremmo ricevere anche le cure nutrienti di un partner amorevole nel corso della nostra vita.

    Il dolore fa parte dell’esperienza umana e condividere la nostra vulnerabilità è ciò che crea legami veramente stretti nelle nostre relazioni. Aprirci in questo modo arriva al nocciolo del nostro essere, oltre tutte le nostre difese e pregiudizi che ne costituiscono la scorza. Quando la vita sembra spezzare il guscio esterno del nostro mondo, siamo allo stesso tempo vulnerabili e più veri, autentici. È allora che scopriamo chi è veramente disposto a camminare con noi attraverso la vita, e potrebbero anche non essere coloro che ci aspettavamo di vedere. Il periodo del lutto e della perdita ci offre l’opportunità di sentirci parte di una realtà interdipendente di cui siamo una piccola particella, collocando nella giusta prospettiva il nostro sentire. E di poter quindi confidare nell’universo, negli altri, oltre che nella nostra forza e resistenza, e nella saggezza della vita stessa al di là dell’orgoglio che ci impedisce di mostrarci, prima di tutto a noi stessi, nella nostra debolezza che pure è un aspetto importante di noi.

    Potremmo anche tentare di motivare il nostro desiderio di cavarcela da soli per non sentirci in colpa o egoisti, come se stessimo pesando su qualcuno che ha già i propri fardelli da portare. Anche se, a pensarci bene, siamo certi che faremmo lo stesso per loro e che le loro proteste ci sembrerebbero inutili…

    La condivisione del dolore ci consente di alleggerire il nostro carico, lasciando che qualcun altro ci aiuti a portarlo. Questo ci aiuta a elaborare i nostri pensieri e sentimenti interiori attraverso il filtro di una persona fidata e amata, elaborazione che ci permetterà di estrarre un tesoro di saggezza dal nostro trauma e di trovare insospettabili vie d’uscita proprio per mezzo della nostra debole natura, dove la crepa diventa una porta aperta sul nuovo. Anche in questo caso il mito ci aiuta, ricordandoci che la violenza del rapimento da parte di Ade della giovane Kore riluttante, è il preludio alla celebrazione delle nozze sacre, in cui i due sposi condivideranno il dominio degli inferi, che possiamo leggere come il superamento della sofferenza e del male…il potente Ade infatti conosce bene la sofferenza e anche la morte, è sopravvissuto al padre Crono che lo ha dapprima ingoiato e poi rigurgitato, e nel corso di questa esperienza probabilmente molto traumatica, il mito suggerisce che Ade ha maturato saggezza e serietà, oltre che l’Elmo dell’invisibilità, ma non durezza o crudeltà. Egli era infatti signore della morte, del sonno e dei sogni, saggio consigliere degli dei, giudice silenzioso che pur restando nell’ombra era giusto ed equo. Ha trasferito le persone da una vita all’altra, rimuovendo la distrazione del mondo esterno per godere della felicità interna della loro nuova esistenza…E del resto è proprio uscendo da questa permanenza annuale negli inferi che Kore, allontanandosi dallo sposo fecondata, sarà in grado di testimoniare con la sua gioia i doni che la madre terra Demetra offre agli umani.

    Accettando quindi di condividere con umiltà e semplicità speranze e paure, incertezza e instabilità, gioie e dolori di questa fase delicata con un’altra persona, accettiamo il dono di saggezza e cura amorevole che la natura ci offre e diamo a coloro che ci amano l’opportunità di esserne un mezzo.


    Pinax con Persefone e Ade su trono, V secolo a.C., da Locri Epizefiri, Italia (Reggio Calabria, Museo nazionale della Magna Grecia).

    Natura e consapevolezza

    Il Serchio di Gramolazzo

    Il nostro universo è un continuo fluire di esperienze in interazione con l’ambiente, interno ed esterno. Questo flusso è percepito in soggettiva attraverso i sensi e gli stati fisiologici ed emotivi, il tutto mediato dai pensieri. I nostri pensieri creano concetti e descrivono le nostre percezioni sensoriali ed i nostri stati interni, a loro volta basati sulla continua trasformazione della nostra incessante e reciproca influenza con l’ambiente.

    Quando diamo importanza ai pensieri più che alle percezioni e ai sensi, questi occupano in modo assillante la nostra mente e non ci permettono di essere a contatto con la realtà, inclusi i nostri bisogni e il nostro sentire più profondo. Con il pensiero creiamo il mondo che conosciamo e nel quale i pensieri e i concetti diventano concreti e tangibili, strade, case, automobili, guerre e denaro merci ed oggetti, gioia e disperazione, aspettative e mancanza di senso…il mondo nel quale viviamo ed in cui è sempre più impossibile vivere e adattarsi mano a mano che l’esperienza concettuale prevale, e diviene l’unica esperienza possibile, mentre perdiamo il contatto con le sensazioni e le percezioni. Questa è il tipo di esperienza che descrive e etichetta tutta la realtà, senza lasciare spazio a quello che si trova tra un nome e l’altro…

    Ma il flusso di esperienze naturali nel frattempo continua ad esistere, dentro e fuori di noi, benché immersi in esso non riusciamo a viverlo pienamente e ci arrampichiamo sui concetti che stiamo creando, sempre più lontani dal reale… questo è il significato profondo dell’albero della conoscenza del bene e del male, il fico di cui abbiamo assaggiato il dolce frutto per cui siamo stati cacciati all’esterno dell’esperienza del paradiso naturale in cui non esistono i concetti e l’illusione di un’io separato.

    Lo sviluppo di presenza mentale ci permette proprio di ritornare alla nostra mente naturale, consapevoli e presenti nel flusso dell’esperienza. Nel percorso i concetti possono aiutare, per distinguere ciò che è salutare da ciò che non lo è, ma alla fine vanno abbandonati e la nostra percezione diventa diretta e spontanea, non mediata da concettualizzazioni. In questo la natura, nei suoi molteplici aspetti di acqua, terra, aria, fuoco e spazio può accoglierci e guidarci se glielo permettiamo, così come lo stato del completo risveglio da questa illusione, l’ottenimento della bodhi, è avvenuto per la prima volta proprio meditando ai piedi del fico sacro, lo stesso albero del peccato originale…

    Il Fico sacro

    Avvicinarsi alla natura in uno stato meditativo di presenza mentale, nel silenzio e con apertura, ci permette quindi non solo di ricaricarci energeticamente, con enormi benefici per il corpo e la mente ormai documentati, ma soprattutto in questa immersione di rientrare in connessione con l’universo, piante, animali, terreno e territorio inclusi coloro che lo hanno abitato prima di noi, per partecipare del suo equilibrio spontaneo e semplice e della sua sapienza al di là del tempo.

    Fare pausa

    Nel tempo del raccolto è giusto trovare il momento per concedersi una pausa, considerare ciò che è stato fatto o non fatto e godere di qualche momento in cui non fare nulla… Del resto proprio come per un pc o un aspirapolvere, nel momento del massimo riscaldamento esiste un sistema di sicurezza che stacca il motore, e tutto si spegne, quasi una resa meccanica che permette al sistema di rinfrescarsi.

    Così siamo noi, in questo caldissimo luglio tempo di bilanci e non ancora tempo di programmi, in cui cerchiamo di “rinfrescarci” le idee…magari un viaggio, anche breve, un tuffo nel mare accogliente, conoscere nuove persone o fare qualcosa di diverso dal solito…perché no?

    Ma il bisogno di assaporare con gusto, di godersela, a volte fa a pugni con la nostra realtà, in cui scopriamo di non avere quel che vorremmo, confrontandoci con aspettative deluse e progetti andati a monte, affetti perduti e bilanci in passivo…questa è l’occasione in cui la pratica della presenza mentale viene in nostro aiuto.

    Se apprendiamo a stare con quello che abbiamo assaporando gli attimi del presente, possiamo lasciare la presa sui nostri vecchi schemi e progetti, aprendoci a nuove possibilità e a nuove connessioni, lasciando andare la nostra vecchia immagine per stare un po’ in sua assenza…senza un progetto, senza un programma, senza un’identità che ci definisca e ci rinchiuda nella gabbia dei vecchi pensieri su noi stessi. A contatto con il fluire del reale, attimo per attimo possiamo riconoscere ciò che proviamo, che sentiamo, semplicemente, complice il caldo che toglie energia alla nostra azione verso l’esterno, e mantenendola invece verso l’interno, come la forza che in natura porta a maturazione il frutto, che per inerzia, si stacca. E sarà il nuovo della nostra vita.

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    Pratica di gruppo estiva, in studio e via internet

    Esaltazione di Giove in Cancro: il frutto. (P.Garberi, 1997)

    Il coraggio di accettarsi

    Ho deciso, finalmente, di guardare l’intera serie del Trono di Spade, e giunta alla terza stagione sto considerando come in questa storia i sistemi motivazionali dei personaggi rappresentati, soprattutto il sistema del rango, si esprimano chiaramente in un contesto crudo e pieno di chiaroscuri come quello descritto dalla sceneggiatura, ambientata in un’epoca simile ad un alto medioevo nella vecchia Europa pagana, dove sono i sistemi neurovegetativi più che il raziocinio a governare apertamente il mondo.

    I valori sono semplici, o semplificati, dalle crude necessità di sopravvivenza…competizione, sesso, attacco e fuga, freezing e trauma, quest’ultimo probabilmente è una componente integrata stabilmente nella personalità di ciascun protagonista, e i cosiddetti difetti mentali – ignoranza-rabbia-attaccamento- orgoglio- vendetta- che si esprimono con vigore, mentre l’impulsività guida spesso le azioni dei diversi personaggi…c’è poco di non detto o di sottinteso, e la vita e la morte attraversano continuamente la realtà umana, al contrario dell’apparenza dei nostri giorni nella vecchia Europa regno del virtuale, in cui emozioni e reattività vengono spesso attutiti e mediati, quando non addirittura negati. Ma nella nostra attuale Europa viziata e, forse, un po’ logorata, si sono susseguiti, dopo l’alto, il medio e basso medioevo, dopo l’inquisizione, anche l’illuminismo, il rinascimento ed il romanticismo, oltre che due guerre mondiali ed un genocidio…siamo diventati esperti nel proteggerci dalle emozioni fortemente dimostrate, che restano però presenti sotto forma di stati emotivi, tendenze all’azione interiorizzate, regole e abitudini…che ogni tanto o spesso vengono rotte, e lasciano la loro impronta nello stress e nei vari disturbi del terzo millennio che conosciamo così bene.

    Nei Sette Regni invece i valori di cooperazione e altruismo sono presenti appena abbozzati, del resto il personaggio che meglio li rappresenta e che cerca di fare la cosa giusta, muore (peraltro ingiustamente) già nella prima serie…Assistiamo però all’interesse divenire dell’eroe, il figlio illegittimo che nel corso delle puntate apprende a diventare eroe, imparando dalle proprie debolezze, e dal senso di inadeguatezza che deriva dalla sua incerta origine.

    Mentre dapprima si dirige alla barriera, per diventare il difensore eroico che vuole essere meglio e al di sopra degli altri, riuscendo così a riscattare il suo stato di orfano illegittimo, piano piano si riaccosta invece alla propria umanità piena di sfaccettature, dove impara il coraggio del perseguire i propri obiettivi, la solidarietà ed apprende ad amare proprio  rompendo i suoi voti di dedizione ad una vita eroica che antepone gli altri a sé.

    Assistiamo quindi al divenire dell’eroe, quello vero, che sbaglia e conosce bene le proprie debolezze, ed è ben lontano dal senso di superiorità di chi invece si dichiara migliore, più altruista e compassionevole dei suoi confratelli umani, avvalendosi magari a questo scopo del marchio di una qualche entità soprannaturale, sempre attento a rinforzare la propria autostima attraverso gli elogi che, in mancanza di meglio, si rivolge da sé…

    Lasciando la metafora e trasponendo questa lettura alla nostra esperienza interna, appare evidente che aprirsi a se stessi e ai propri bisogni infatti, non ci impedisce di essere accoglienti e gentili verso gli altri, ma anzi diminuisce il nostro orgoglio e ci porta a contatto con la nostra umanità, la sola che ci può guidare verso la comprensione e l’aiuto, se ne siamo capaci, degli altri. Del resto, come si può sviluppare davvero il coraggio e la capacità di amare se non si conosce da vicino la propria paura e debolezza, accogliendola con compassione e accettazione per poi riconoscerla e quindi accettarla nei nostri simili ? https://artemindfulness.wordpress.com/2019/05/11/il-coraggio-di-accettarsi/

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